Google ha creato un fondo di 4 milioni di dollari per fronteggiare la crisi creata dall’ordine esecutivo firmato due giorni fa dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con il quale di fatto si impone l’ingresso negli USA per gli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza islamica. Un decreto improvviso che ha causato caos negli aeroporti internazionali e sollevato proteste in tutto il mondo. Il fondo creato da Google (2 milioni provenienti da Google stessa, e 2 milioni dagli impiegati) va a costituire la più grande campagna umanitaria messa in piedi da Google: le donazioni, stando a quanto riportato da USA Today, saranno devolute a quattro organizzazioni per i diritti civili: l’American Civil Liberties Union (ACLU), Immigrant Legal Resource Center, International Rescue Committee e UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati).

Il fondo è stato inizialmente annunciato dall’amministratore delegato di Google Sundar Pichai, che già nel corso del weekend aveva diramato una comunicazione interna dichiarando come fosse “doloroso assistere alle sofferenze personali patite dai nostri colleghi a causa dell’ordine esecutivo”, riferendosi ai 187 impiegati di Google colpiti dal decreto anti-immigrazione di Trump.

Anche il co-fondatore di Google Sergey Brin si è unito alle proteste contro la decisione di Trump, recandosi di persona all’aeroporto internazionale di San Francisco; va ricordato che la famiglia di Brin ha dovuto lasciare l’Unione Sovietica nel 1979 per sfuggire alle persecuzioni. Lo stesso Sundar Pichai è un immigrato proveniente dall’India.

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Protesta contro Trump – credits: TheVerge

Ma non è stata solamente Google a manifestare il suo dissenso contro il decreto di Trump. Numerosi pezzi grossi del mondo della tecnologia si sono schierati in prima fila per opporsi con veemenza all’ordine esecutivo del magnate americano. Nel corso del weekend, l’amministratore delegato di Netflix Reed Hastings ha dichiarato pubblicamente che “le azioni di Trump sono talmente non-americane da portare alla sofferenza tutti noi”. Più prudente il patron di Facebook, Mark Zuckerberg, che si è detto “preoccupato” dagli eventi.

Altre compagnie hanno offerto un aiuto economico concreto: Lyft donerà 1 milione di dollari nel corso dei prossimi quattro anni all’ACLU, mentre l’amministratore delegato di Airbnb, Brian Chesky, ha promesso che la compagnia offrirà un “tetto gratuito a tutti i rifugiati e a chiunque non sia permesso l’accesso negli Stati Uniti”.

Google ha rilasciato una comunicazione ufficiale tramite USA Today: “Siamo preoccupati dall’impatto che questo ordine potrebbe avere, così come quello di altre proposte che potrebbero imporre restrizioni ai ‘Googlers’ e alle loro famiglie o potrebbero creare barriere impedendo l’accesso di grandi talenti negli Stati Uniti. Continueremo a rendere note ai leader di Washington e in tutto il mondo il nostro punto di vista su queste questioni”.

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